Abbracciare è un gesto connotato profondamente da una vena di sacralità. Abbracciare non è un semplice gesto fisico, di estensione delle proprie braccia, di apertura verso l’altro, di dono di sé e di accoglienza dell’altro. Abbracciare non è solo un contenere l’altro, una condivisione di emozioni, vissuti, sentimenti.
L’abbraccio è molto di più.
Mai come oggi viviamo quasi esclusivamente nella nostra testa. Cerchiamo di dare ad ogni cosa una lettura razionale, una spiegazione, una inquadratura tale per cui tutto quel che vi sfugge – e questo è pressoché inevitabile ed inesorabile – viene vissuto come sovversivo e pericoloso.
Un abbraccio schiude al linguaggio del corpo, dell’emozionale, e, ancor più, dello spirituale.
Tutto quel che non vogliamo ascoltare, da cui prendiamo le distanze, di noi e dell’altro, ce lo troviamo espresso in modo diretto ed immediato in un abbraccio.
Talvolta, appare in uso una sorta di ‘surrogato’ dell’abbraccio, tra vecchie e nuove generazioni, una sorta di estensione, sgradevolmente rigida delle braccia, per ambo le parti, priva di qualsivoglia forma di contatto con l’addome. Quasi a veicolare un messaggio implicito: ti consento di avvicinarti e di avvicinarmi, ma mantenendo le distanze di sicurezza. Mi svelo, e ti permetto di svelarti, ma fino ad un certo punto.
Non ci si mette mai veramente in gioco fino in fondo. Solo in apparenza.
L’espressione abbraccio ricorre oggi piuttosto di frequente anche nella chiusa di lettere o sms, un altro modo comodo e asettico di esprimere affetto e vicinanza, che però, troppo di frequente, alla prova dei fatti, nella concretezza, si conferma una vuota illusione.
Affetto solo sulla carta.
Testimonianza di una profondissima ambivalenza che la nostra società e ciascun individuo, chi più consapevolmente, chi meno, sta vivendo, nei confronti delle persone care che stanno intorno. Da una parte il desiderio manifesto di una maggiore vicinanza – a dispetto delle nuove tecnologie che consentono contatti ubiquitari costanti, ma che si rivelano incapaci di sciogliere i blocchi comunicativi e socio relazionali che sempre più di frequente appaiono – dall’altra, nel concreto, la difficoltà a superare quelle barriere che spesso ci creiamo e che perpetrano le distanze tra noi.
“Cosa penserà l’altro di me?”, e, forse, anche più paralizzante si rivela il quesito “Come andrà a finire? Di cosa sarò capace?”, sono i blocchi maggiormente onerosi e gravosi da superare.
Già, perché alla fine è prima di tutto e soprattutto il proprio potenziale, le proprie risorse quel che maggiormente si teme.
Tutto quel che è rimasto silente e accantonato per anni dentro di noi, che talvolta chiede di poter uscire, essere espresso, o anche condiviso, è ciò che c’intimorisce maggiormente.
E allora finiamo col preferire gli pseudo equilibri vissuti fino a quel momento, gli assetti consolidati, che poi alla lunga si rivelano castranti ed imprigionanti che se da una parte offrono il barlume di una illusoria sicurezza, dall’altra ci privano della possibilità di vivere nuove possibilità, nuove parti di sé, seppur nel rischio dell’incertezza che questo può comportare. Ma, in ultima analisi, la Vita non è proprio questo? Imprevedibilità, incontrollabilità, novità costante.
E, allora, la sorpresa può arrivare anche da un abbraccio, da una Pancia e da un Cuore che si schiudono e si fondono, recuperando quel senso di Unità che supera le divisioni, maschile-femminile, alto-basso, lecito-illecito, buono-cattivo. In quanto espressione dell’intimo, del non verbale, del non previsto né prevedibile, dell’autentico che nel profondo ciascuno di noi serba.
Un abbraccio che tiene, sostiene, ma non trat-tiene, che consente il fluire della Vita, lo scambio continuo, privo dell’attesa di una durata, di un modo, di un tempo prestabilito, per approdare ad una dimensione senza tempo, in cui ciascuno può essere liberamente se stesso e consentire all’altro di fare altrettanto.
Un abbraccio come rito, in cui l’unione dei due o più esseri è maggiore della mera somma delle parti. L’alchimia che ne deriva appare una forza trasformativa in grado di portare ogni persona ad un livello di consapevolezza, di evoluzione e comunicazione alquanto superiore rispetto a quel che singolarmente si poteva possedere. A patto che si resti aperti e si rinnovi costantemente la disponibilità a mettersi in gioco, svelarsi, accogliere l’altro per quello che è, senza giudizi né pre-giudizi.
Anna Fata
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